LAVORO STAGIONALE: QUANTO DURA LA STAGIONE?
Sommario: 1. Introduzione
– 2. Disciplina del contratto stagionale – 3. La
stagionalità
1.
Introduzione
Il
contratto di lavoro stagionale è quel contratto di lavoro a tempo determinato
di breve durata caratterizzato dalla speciale natura dell’attività lavorativa
oggetto del contratto medesimo, destinata ad esaurirsi nell’ambito di un
determinato arco temporale ed eventualmente a ripetersi, anche ciclicamente.
L’arco
temporale entro il quale deve esaurirsi l’attività oggetto del contratto
costituisce la “stagione” la cui durata – contrariamente a quanto si possa
ritenere – non è strettamente legata ad una precisa stagione solare (estate,
autunno, inverno, primavera).
È
proprio da quanto appena precisato che nasce dunque il quesito: quanto dura la
stagione?
2.
Disciplina del contratto stagionale
Il
primo riferimento normativo relativo al contratto stagionale si rinviene nella
legge 18 aprile 1962, n. 230[1], recante la disciplina del contratto di
lavoro a tempo determinato, la quale, all’art. 1, comma 2, lett. a),
disponeva che, oltre agli altri casi[2], l’apposizione di un termine alla durata
del contratto era consentita “quando ciò sia richiesto dalla speciale
natura dell’attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della
medesima”.
Successivamente,
l’individuazione specifica delle attività a carattere stagionale (52 attività[3]) è avvenuta ad opera dell’allegato di cui
al d.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525, il quale – per effetto della mancata
emanazione da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di un
decreto che avrebbe dovuto individuare le attività stagionali (a cui fa
espresso riferimento l’art. 21, comma 2, del D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81
recante la disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della
normativa in tema di mansioni[4]) – deve tuttora ritenersi efficace.
Ad
oggi, pertanto, le ipotesi di attività stagionali rimangono quelle indicate nel
succitato decreto presidenziale, nonché quelle individuate dalla contrattazione
collettiva alla quale è demandata la possibilità di “integrare” il quadro
normativo[5].
Come
premesso sopra, il contratto stagionale è una subspecies del
contratto a termine che, tuttavia, presenta una peculiare disciplina.
Innanzitutto,
alle attività stagionali non si applica il limite di durata massima pari a 24
mesi[6] di cui all’art. 19, comma 2, del
D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, per sommatoria di tutti i contratti a
termine tra le medesime parti per lo svolgimento di mansioni di pari
livello e categoria legale[7].
Inoltre,
sebbene come i contratti a termine anche i contratti stagionali possano essere
prorogati per un massimo di quattro volte (pena la trasformazione del contratto
a termine in contratto a tempo indeterminato)[8], l’art. 21, comma 01, del D.lgs. 15
giugno 2015, n. 81, dispone espressamente che i contratti per
attività stagionali possono essere rinnovati o prorogati anche in assenza delle
condizioni di cui all’art. 19, comma 1[9], e, dunque, senza la necessità che il
datore di lavoro indichi la causale giustificatrice del rinnovo o della
proroga.
Inoltre,
diversamente da quanto previsto per il contratto a termine, il rinnovo del
contratto stagionale senza l’osservanza delle pause intermedie tra un contratto
e l’altro (cc.dd. “periodi cuscinetto” o “stop and go”) non comporta la
trasformazione del contratto in contratto a tempo indeterminato[10].
Altra
differenza con il contratto a termine si rinviene nel disposto dell’art. 23,
comma 2, del D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, il quale stabilisce che i contratti
stagionali sono esenti da limitazioni quantitative previste dal comma 1 dello
stesso articolo con riferimento all’assunzione di lavoratori a tempo
determinato[11].
Si
differenzia rispetto alla disciplina “generale” dettata per i contratti a
termine, anche quella dettata in riferimento al diritto di precedenza di cui
all’art. 24 del D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81.
Nel
contratto stagionale, infatti, il diritto di precedenza opera solo rispetto
alle nuove assunzioni a tempo determinato da parte dello stesso datore di
lavoro per le medesime attività stagionali[12] e tale diritto deve essere
esercitato, sempre in forma scritta, entro 3 mesi dalla fine del contratto
precedente[13] (art. 24, commi 3 e 4, D.lgs. 15
giugno 2015, n. 81).
3.
La stagionalità
Fatte
le suddette premesse, occorre stabilire quando ad una determinata attività –
purché rientrante nell’elenco di cui al d.P.R. 7 ottobre 1963, n. 1525 o,
individuata come tale dalla contrattazione collettiva – possa attribuirsi il
carattere della “stagionalità” di cui al D.lgs. 15 giugno 2015, n. 81.
A
tal fine, non essendo quello della “stagionalità” un concetto normativamente
precisato o delimitato nella sua estensione temporale, devono invocarsi in
soccorso le pronunce sul tema della Corte di cassazione.
In
particolare, si richiama – sebbene datata ma tuttora valida[14] – la sentenza n. 10401 del 1993 con
la quale la Suprema Corte, rilevando che non esiste alcuna predeterminazione
alla durata dei contratti stagionali[15], ha precisato che il concetto di
“stagionalità” non deve necessariamente ricondursi alle stagioni del calendario
o ad un periodo di tempo ad esse corrispondente ed ha inoltre stabilito che, ai
fini della qualificazione di un’attività come “stagionale” è, sì, necessario
che l’attività si svolga e sia programmata per un periodo di tempo limitato di
durata prestabilita, ma non che detto periodo di tempo debba necessariamente
essere breve, potendo l’attività protrarsi per un periodo di tempo
indicativamente compreso fra i sette e i nove mesi, a seconda della particolare
caratterizzazione dell’attività stessa, con possibilità di reiterazione negli
anni successivi.
Più
precisamente: “Il D.P.R. n. 1525/63 menziona, invero, una serie di
attività aventi ciascuna una propria collocazione temporale sulla base di
criteri non omogenei. Alle attività “stagionali” in senso stretto sono
accostate attività il cui periodo di svolgimento è variamente delimitabile e
dipendente spesso da elementi del tutto diversi dal naturale svolgimento delle
stagioni.
Di
alcune attività è peraltro consentita la reiterazione nel corso dell’anno o di
diversi anni, rimanendo il carattere stagionale legato, oltre che allo
specifico tipo di attività, alla breve durata di esse (ad esempio, lo
svolgimento di corsi di insegnamento professionale di cui al n. 51, legato solo
alla “breve durata” di essi, ma suscettibile di reiterazione in più anni: cfr.
Cass. 3991/91, etc.).
In
altre ipotesi, il collegamento con le “stagioni” è abbastanza ampio, sì da
ricomprendere più di una stagione (ad es., la conduzione delle caldaie per il
riscaldamento dei fabbricati: cfr. n. 52) o determinati periodi dell’anno solo
indirettamente collegati a precise stagioni (cfr. l’attività di fabbricazione e
confezionamento di prodotti dolciari nei periodi precedenti le festività di
Natale e della Pasqua: n. 36 dell’elenco).
Di
fronte a tale variegata serie di attività, che vale a rendere scarsamente
omogeneo l’elenco di cui al D.M. n. 1525/63, non ritiene la Corte che si possa
enucleare quale carattere comune a tutte le attività di cui alla lettera a)
dell’art. 1 in esame (legge 18 aprile 1962, n. 230,
n.d.r.) un concetto di stagione sufficientemente preciso, in
riferimento alle stagioni del calendario o comunque ad un periodo di tempo ad
esse sostanzialmente corrispondente.
Il
riferimento ad attività stagionali in senso stretto o al concetto tradizionale
di stagione, contenuto in diverse pronunce di questa Corte, è in realtà
utilizzato per delimitare le attività preordinate ed organizzate per un
espletamento temporaneo, per distinguerle dalle situazioni aziendali collegate
ad esigenze di intensificazione dell’attività lavorativa (cfr. Cass. 2633/86
con riferimento all’attività di produzione stagionale di “cremini” in vista
delle festività natalizie e pasquali), ovvero con riferimento alla generalità
delle attività aventi una precisa dimensione stagionale in senso stretto o alle
c.d. punte stagionali (cfr. Cass. n. 1095/93).
Ciò
che, ad avviso di questa Corte, non appare corretto, sulla base della
disciplina normativa in esame, è una delimitazione temporale delle singole
attività di cui al D.P.R. n. 1525/63 con riferimento alle stagioni di
calendario che non tenga conto dei caratteri dei singoli tipi di attività
specificamente previsti o, peggio, l’enucleazione di un preciso e limitato
concetto di stagione che valga in qualsiasi ipotesi, e quindi assuma i
connotati di un requisito generale deducibile dalla lettera a) dell’art. 1,
2° comma, della legge n.
230/62, alla stregua del quale debba essere vagliata la
“compatibilità” delle attività espressamente elencate nel D.P.R. n.
1525/63 per effetto di una delega – quella contenuta nel
sesto comma dell’art. 1 – che viene a rimettere a valutazioni in certa misura
discrezionali dell’organo delegato la individuazione delle attività stagionali.
In
altri termini, la stessa “specialità” dell’attività desumibile dal suo
carattere stagionale non esige che essa si svolga e sia programmata per un
periodo di tempo assai limitato. La maggiore o minore durata dell’attività
nell’ambito dell’anno dipende da fattori naturali, sociali, tradizionali a
seconda della particolare caratterizzazione di essa.
Con
riferimento all’attività svolta nell’ambito dei corsi di formazione
professionale, questa Corte ha riconosciuto non solo la possibilità di una
durata pluriennale dei corsi, ma anche una loro possibile durata fino a sette o
nove mesi, rapportata alla durata normale dei corsi ufficiali scolastici,
ritenendo che non venisse meno la caratterizzazione di attività “stagionale”
(cfr. Cass. 3991/91; Cass. 1747/82)”.
Inoltre,
la Corte ha stabilito che una determinata attività, affinché possa qualificarsi
come “stagionale”, debba avere una utilità per l’impresa.
In
particolare, secondo il Giudice di legittimità, nulla osta a che si consideri
“stagionale” l’attività che, ancorché non di carattere straordinario od
occasionale, si inserisca nell’ambito di una stabile organizzazione di impresa,
purché al di fuori del contesto in cui è inserita sia priva di alcuna obiettiva
utilità per l’impresa. In altri termini, è necessario che l’attività non sia
rispondente ad esigenze produttive stabili ed idonee ad evidenziare il
permanente inserimento di tale attività nell’organizzazione dell’ente.
L’attività,
inoltre, deve avere una sua specificità, ovvero rispondere ad un’esigenza di
carattere temporaneo che non potrebbe essere soddisfatta mediante
l’utilizzazione delle potenzialità lavorative inserite stabilmente nell’azienda
e che, essendo destinata ad esaurirsi, non consente uno stabile inserimento del
lavoratore nell’organizzazione dell’impresa.
[1] Legge abrogata ad opera del D.lgs.
6 settembre 2001, n. 368.
[2] Segnatamente: “[…] b)
quando l’assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti e per i quali
sussiste il diritto alla conservazione del posto, sempre che nel contratto di
lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa
della sua sostituzione; c) quando l’assunzione abbia luogo per l’esecuzione di
un’opera o di un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi carattere
straordinario od occasionale; d) per le lavorazioni a fasi successive che
richiedono maestranze diverse, per specializzazioni, da quelle normalmente,
impiegate e limitatamente alle fasi complementari od integrative per le quali
non vi sia continuità di impiego nell’ambito dell’azienda; e) nelle scritture
del personale artistico e tecnico della produzione di spettacoli”.
[3] Elenco delle attività per le
quali, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a), della legge 18 aprile 1962, n.
230, è consentita per il personale assunto temporaneamente l’apposizione di un
termine nei contratti di lavoro: 1. Sgusciatura delle mandorle; 2. Scuotitura,
raccolta e sgranatura delle pine; 3. Raccolta e conservazione dei prodotti
sottobosco (funghi, tartufi, fragole, lamponi, mirtilli, ecc.); 4. Raccolta e
spremitura delle olive; 5. Produzione del vino comune (raccolta, trasporto,
pigiatura, dell’uva, torchiatura delle vinacce, cottura del mosto, travasamento
del vino); 6. Monda e trapianto, taglio e raccolta del riso; 7. Motoaratura,
mietitura, trebbiatura meccanica dei cereali e pressatura dei foraggi; 8.
Lavorazione del falasco; 9. Lavorazione del sommacco; 10. Maciullazione e
stigliatura della canapa; 11. Allevamento bachi, cernita, ammasso e stufatura
dei bozzoli; 12. Ammasso, sgranatura, legatura, macerazione e stesa all’aperto
del lino; 13. Taglio delle erbe palustri, diserbo dei canali, riordinamento
scoline delle opere consortili di bonifica; 14. Raccolta, infilzatura ed
essiccamento della foglia del tabacco allo stato verde; 15. Cernita e
condizionamento in colli della foglia di tabacco allo stato secco; 16. Taglio
dei boschi, per il personale addetto all’abbattimento delle piante per legname
da opera, alle operazioni per la preparazione della legna da ardere, alle
operazioni di carbonizzazione nonché alle relative operazioni di trasporto; 17.
Diradamento, raccolta e trasporto delle barbabietole da zucchero; 18.
Smorzatura del sughero; 19. Salatura e marinatura del pesce; 20. Pesca e
lavorazione del tonno; 21. Lavorazione delle sardine sott’olio (per le aziende
che esercitano solo tale attività); 22. Lavorazione delle carni suine; 23.
Produzione di formaggi in caseifici che lavorano esclusivamente latte ovino;
24. Lavorazione industriale di frutta, ostaggi e legumi per la fabbricazione di
prodotti conservati vegetali e alimentari limitatamente al personale assunto
nel periodo di lavorazione del prodotto fresco; 25. Produzione di liquirizia;
26. Estrazione dell’olio dalle sanse e sua affinazione; 27. Estrazione
dell’olio dal vinacciolo e sua raffinazione; 28. Estrazione dell’alcool dalle
vinacce e dalle mele; 29. Fabbricazione del ghiaccio (durante il periodo
estivo); 30. Estrazione di essenze da erbe e frutti allo stato fresco; 31.
Spiumatura della tiffa; 32. Sgranellatura del cotone; 33. Lavatura della paglia
per cappelli; 34. Trattura della seta; 35. Estrazione del tannino; 36.
Fabbricazione e confezionamento di specialità dolciarie nei periodi precedenti
le festività del Natale e della Pasqua; 37. Cave di alta montagna; 38.
Montaggio, messa a punto e collaudo di esercizio di impianti per zuccherifici,
per fabbriche di conserve alimentari e per attività limitate a campagne
stagionali; 39. Fabbricazione dei laterizi con lavorazione a mano o mista a
mano e a macchina nelle quali si faccia uso di essiccatoio all’aperto; 40.
Cernita e insaccamento delle castagne; 41. Sgusciatura ed insaccamento delle
nocciole; 42. Raccolta, cernita, spedizione di prodotti ortofrutticoli freschi
e fabbricazione dei relativi imballaggi; 43. Raccolta, cernita, confezione e
spedizione di uve da tavola e da esportazione; 44. Lavaggio e imballaggio della
lana; 45. Fiere ed esposizioni; 46. Lavoratori preparatori della campagna
salifera (sfangamento canali, ripristino arginatura mungitura a cilindratura
casette salanti, sistemazione aie di stagionatura), salinazione (movimento di
acque, raccolta del sale); 47. Spalatura della neve; 48. Attività svolta in
colonie montane, marine e curative; 49. Preparazione e produzione di spettacoli
per il personale non menzionato nella lett. c) dell’art. 1 della legge 18
aprile 1962, n. 230, addetto a singoli spettacoli o serie di spettacoli
consecutivi di durata prestabilita; 50. Attività del personale addetto alle
arene cinematografiche estive; 51. Attività del personale assunto direttamente
per corsi di insegnamento professionale di breve durata e soltanto per lo
svolgimento di detti corsi; 52. Conduzione delle caldaie per il riscaldamento
dei fabbricati.
[4] “Le disposizioni di cui al
presente comma non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati
nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e
delle politiche sociali nonché nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi.
Fino all’adozione del decreto di cui al secondo periodo continuano a trovare
applicazione le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 7
ottobre 1963, n. 1525”.
[5] Cfr. Ispettorato Nazionale del
Lavoro, Nota 10 marzo 2021, n. 413.
[6] “Al contratto di lavoro
subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a dodici
mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i
ventiquattro mesi, solo in presenza di almeno una delle seguenti condizioni: a)
esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero
esigenze di sostituzione di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi
temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria. In caso
di stipulazione di un contratto di durata superiore a dodici mesi in assenza
delle condizioni di cui al comma 1, il contratto si trasforma in contratto a
tempo indeterminato dalla data di superamento del termine di dodici mesi” (art.
19, commi 1 e 1-bis, D.lgs. n. 81/2015).
[7] “Fatte salve le diverse
disposizioni dei contratti collettivi, e con l’eccezione delle attività
stagionali di cui all’articolo 21, comma 2, la durata dei rapporti di lavoro a
tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore,
per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di
mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di
interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i ventiquattro mesi”.
[8] “Il termine del contratto a
tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo
quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a ventiquattro mesi, e,
comunque, per un massimo di quattro volte nell’arco di ventiquattro mesi a
prescindere dal numero dei contratti. Qualora il numero delle proroghe sia
superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla
data di decorrenza della quinta proroga” (art. 21, comma 1, D.lgs. n.
81/2015).
[9] Cfr. Nota 6.
[10] “Qualora il lavoratore sia
riassunto a tempo determinato entro dieci giorni dalla data di scadenza di un
contratto di durata fino a sei mesi, ovvero venti giorni dalla data di scadenza
di un contratto di durata superiore a sei mesi, il secondo contratto si
trasforma in contratto a tempo indeterminato. Le disposizioni di cui al
presente comma non trovano applicazione nei confronti dei lavoratori impiegati
nelle attività stagionali […]” (art. 21, comma 2, D.lgs. n. 81/2015).
[11] “Salvo diversa disposizione dei
contratti collettivi non possono essere assunti lavoratori a tempo determinato
in misura superiore al 20 per cento del numero dei lavoratori a tempo
indeterminato in forza al 1° gennaio dell’anno di assunzione, con un arrotondamento
del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Nel
caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si
computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento
dell’assunzione. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è
sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato. Sono
esenti dal limite di cui al comma 1, nonché da eventuali limitazioni
quantitative previste da contratti collettivi, i contratti a tempo determinato
conclusi: […] c) per lo svolgimento delle attività stagionali di cui
all’articolo 21, comma 2 […]”.
[12] In relazione al contratto a tempo
determinato, invece: “Salvo diversa disposizione dei contratti
collettivi, il lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a tempo
determinato presso la stessa azienda, ha prestato attività lavorativa per un
periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo
indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi
con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a
termine. Per le lavoratrici, il congedo di maternità di cui al Capo III del
decreto legislativo n. 151 del 2001, e successive modificazioni, usufruito
nell’esecuzione di un contratto a tempo determinato presso lo stesso datore di
lavoro, concorre a determinare il periodo di attività lavorativa utile a
conseguire il diritto di precedenza di cui al comma 1. Alle medesime
lavoratrici è altresì riconosciuto, alle stesse condizioni di cui al comma 1,
il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal
datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, con riferimento alle mansioni
già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine” (art.
24, commi 1 e 2, D.lgs. n. 81/2015).
[13] “Il diritto di precedenza deve
essere espressamente richiamato nell’atto scritto di cui all’articolo 19, comma
4, e può essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti per
iscritto la propria volontà in tal senso al datore di lavoro entro sei mesi
dalla data di cessazione del rapporto di lavoro nei casi di cui ai commi 1 e 2,
ed entro tre mesi nel caso di cui al comma 3. Il diritto di precedenza si
estingue una volta trascorso un anno dalla data di cessazione del rapporto” (art.
24, comma 4, D.lgs. n. 81/2015).
[14] Cfr. Cass. civ. Sez. Lav., Sent., 9 settembre 2016, n. 17873.
[15] Cfr. Ministero del Lavoro,
Circolare n. 42 del 1° agosto 2002, secondo cui “Non sembra sussistere,
peraltro, alcuna predeterminazione di durata di questi contratti, la quale
rappresenta oggi una variabile dipendente dalle esigenze dell’assetto
produttivo di riferimento”.
Commenti
Posta un commento